Intervista a Davide Carnevali, drammaturgo
In occasione dello spettacolo di sabato 5 giugno “Peppa Pig prende coscienza di essere un suino” in Fucina Culturale Machiavelli abbiamo intervistato Davide Carnevali, drammaturgo, suo creatore che al momento vivo a Berlino. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per raccontarci cosa vuol dire esser drammaturgo in Europa.
Ciao Davide, attualmente ti trovi a Berlino, ma sei un drammaturgo che lavora in tutta Europa, siamo curiosi di sapere da dove hai iniziato e qual è la tua formazione hai?
Ho iniziato intorno ai 20 anni, in alcuni laboratori di Laura Curino e poi facendole da assistente. Parallelamente, a Milano gestivamo con alcune amiche e amici una piccola sala che si chiamava Scalo10, ti parlo del 2002/2003. Poi mi sono trasferito a Barcellona nel 2005 e ho iniziato la formazione di drammaturgo, frequentando dei corsi di drammaturgia presso la Sala Beckett, dove sono entrato in contatto con molta drammaturgia europea contemporanea.
Intanto mi ero iscritto ad un dottorato in Teoria del teatro, che mi ha portato a Berlino. È stato in questa città che ho iniziato la mia carriera di autore, grazie al Theatertreffen, il Festival più importante di teatro in Germania, che ha una sezione dedicata alla nuova drammaturgia chiamata Stückemarkt. Lì hanno premiato “Variazioni sul modello di Kraepelin” e da li è iniziata la diffusione delle mie opere a livello europeo, anche grazie alla Maison Antoine Vitez, che che ha tradotto i miei testi in francese. Negli ultimi tre anni sono stato molto più presente in Italia, grazie a Claudio Longhi che mi ha chiamato come artista residente a ERT Emilia Romagna Teatro.
Cos’è che ti ha fatto scegliere il linguaggio del teatro per esprimerti artisticamente?
All’inizio scrivevo narrativa, non pensavo di scrivere di teatro, non avrei mai pensato di fare questo mestiere. Ma il teatro rispetto ad altre forme artistiche ha una caratteristica unica, fondamentale: quella di mettere in comunicazione, in sintonia o in contrasto la parola con la materialità, con il corpo fisico, con l’apparizione fisica davanti allo spettatore di quello che la parola ha evocato o descritto.
Questo contrasto o assonanza che si crea tra la parola e il corpo è unico nel teatro ed è interessantissimo lavorare e portare in scena questa dicotomia.
Cosa ne pensi della nuova drammaturgia a livello europeo? In che direzione sta andando?
I contesti sono molto differenti in realtà, credo che sia difficile identificare una drammaturgia a livello europeo. Ad esempio in Germania c’è un sistema teatrale che fomenta molto la drammaturgia, che la richiede e la sostiene e che rende anche relativamente veloce poi il passaggio dalla scrittura alla messa in scena. Quindi è molto più facile scrivere di attualità, di politica o di temi sociali urgenti, e portarli rapidamente davanti al pubblico. In Spagna, come da noi, invece è più difficile per il drammaturgo, il sistema è molto legato alla tradizione e meno rivolto all’attualità. Anche se in Catalunya, invece, la drammaturgia entra nelle questioni legati all’identità linguistica, il che ha fatto fiorire negli ultimi trent’anni un teatro molto centrato sulla parola, sul modello britannico. Anche in Francia sono molto legati alla loro lingua e alla loro tradizione. Lì c’è un’influenza maggiore della figura registica, come in Italia, anche se da noi la tradizione attoriale è quella più forte; da noi la figura del drammaturgo ha sempre avuto un ruolo minore.
Cosa pensi che il pubblico debba aspettarsi dal teatro oggi, soprattutto dopo la situazione di emergenza attuale?
La situazione è ancora un po’ imprevedibile. Poi, in questo periodo, si sono acuiti alcuni problemi che dipendono dall‘educazione estetica del pubblico, vincolata alla fruizione di prodotti audiovisuali. L’aumento del consumo delle serie tv, dei video è cresciuto e influenza sicuramente il modo in cui il pubblico si approccia al teatro, le sue aspettative e i suoi gusti.
Per esempio il rapporto con YouTube e i social che hanno gli adolescenti è molto più forte di quello che hanno con il teatro e influenza il loro modo di recepirlo. Il teatro non può competere con il video, ma può contare sulla materialità, la presenza fisica; dobbiamo puntare su quella cosa che si crea nella co-presenza tra pubblico e attore.
Dobbiamo fare in modo che il pubblico senta la mancanza di questa cosa. Rimettere l’accento sulla dimensione della presenza, dell’incontro fisico. Cosa che è mancata molto a tutti, durante questa pandemia.
Qual è il rischio maggiore che hai corso (artisticamente o nella vita)?
Il rischio maggiore che ho corso penso che sia stato quello di fare questo lavoro. Un rischio corso un po’ inconsciamente, non pensavo sarebbe diventato un mestiere. Quando inizi a lavorare in questo ambito, che è molto difficile e complesso e che non ti dà un ritorno economico immediato, fai sostanzialmente la fame. Ma lo fai perché ti piace farlo, perché ti interessa realmente farlo, anche se è molto rischioso, perché non sai dove ti porta, segui solo l’intuizione e non il ragionamento logico. Ma forse, proprio per questo, è un periodo molto interessante da vivere.
Grazie mille Davide!
Vi aspettiamo tutti allo spettacolo in Fucina Culturale Machiavelli questo sabato alle ore 2o.oo!
Qui potete acquistare i biglietti: https://www.fucinaculturalemachiavelli.com/events/peppa-pig-prende-coscienza-di-essere-un-suino/